Per educare lo sguardo occorre permettere di conoscersi reciprocamente dando la possibilità di stare insieme e di fare insieme. Mettere in atto strategie che aiutino a vedere un po’ più in là, oltre la facciata e l’apparenza, e a percepire gli altri come persone complesse, anche attraverso la lettura di storie e racconti di vita.
Le situazioni di aiuto intervengono con persone che hanno vissuto un trauma. Il primo risultato da cercare di raggiungere per chi si occupa di educazione è che nessuno venga schiacciato, oppresso. Essere come una guida indiana che accompagna silenziosa…
Come possono gli educatori trasmettere valori di rispetto dei diritti umani, ricordando le atrocità del recente passato, in una società dove dilaga sempre più una cultura disumanizzante? Se lo chiede un gruppo di docenti del Liceo Artistico Caravaggio di Milano. Che riflette su quanto stia accadendo in questi mesi nel Mediterraneo, nel nostro Paese, in Europa…
Le migrazioni internazionali sono fenomeni dinamici, in continua evoluzione. L’Italia, che è stato Paese d’emigrazione, dalla fine degli anni Ottanta ha iniziato a trasformarsi in luogo di accoglienza. Inizialmente l’immigrazione aveva carattere di temporaneità: generalmente un uomo adulto, solo, emigrava per motivi economici e, una volta raggiunto il proprio obiettivo attraverso il lavoro prestato in Italia, rientrava presso il Paese d’origine. Con il passaggio all’immigrazione “di popolamento”, cioè con l’arrivo di interi nuclei familiari aventi come progetto il radicamento nel nuovo contesto, la società contemporanea è rapidamente mutata. E si pone la questione forte delle seconde generazioni.
La persona immigrata porta con sé non solo una diversa lingua, ma un intero mondo di vissuti e sentimenti, prospettive e progettualità. Un mondo che gli operatori sociali devono saper valorizzare a partire dal presupposto che le persone immigrate possono essere “agenti di sviluppo”.
Dipende da chi intendiamo e da quello che sappiamo vedere
Non si offendano gli operatori sociali “titolati”. Ma ci sono anche tanti operatori sociali “in incognito”. Vendono il giornale, fanno il caffè… E possono essere di grande aiuto per certe persone. La loro lezione è preziosa perché hanno imparato a bussare nel modo giusto per farsi aprire.
Saperlo riconoscere e valorizzare nel lavoro quotidiano
Gli operatori devono avere la capacità di raggiungere l’altro dove è, domandando permesso perché entrano in casa d’altri. Devono scoprire anche il proprio coraggio di stare insieme agli altri, uscendo da una posizione di superiorità e contaminare i coraggi, per fare nascere un progetto.
Il lavoro sociale è costruire ponti. I muri possono essere simboli di divisione e assumono, nel paesaggio, l’aspetto triste del respingimento. I ponti possono essere simboli di incontro e scambio. Devono essere belli. Collocarsi nel paesaggio senza ferirlo. Le competenze tecniche devono tenerne conto, senza sfoggio di soluzioni avveniristiche.
L'articolo intende proporre una riflessione sulla detenzione al femminile, innegabilmente più complessa e problematica, sebbene quantitativamente più esigua, di quella maschile. Nonostante una crescente attenzione,...
Il presente articolo descrive una ricerca-azione implementata nella cooperativa sociale di Padova «Gruppo R» che, tra i suoi servizi, offre accoglienza a persone richiedenti asilo....