Saul David Alinsky
Un grande attivista di comunità
L’attuale presidente degli Stati Uniti — Barack Obama — e il suo (probabile) successore alla Casa Bianca — Hillary Clinton — hanno un forte legame con la figura carismatica di Saul Alinsky. Il primo, infatti, dopo la laurea s’è fatto le ossa in un’associazione alinskysta per il riscatto dei ghetti di colore a Chicago; la seconda s’è laureata nel 1969 proprio con una tesi su Alinsky.

RITRATTO
Paradossi. Ma chi è Saul David Alinsky? Una figura dalle mille sfaccettature. Psicologo nel carcere statale dell’Illinois, sostenitore del sindacato radicale di John L. Lewis, raccoglie fondi per le Brigate popolari in Spagna, sostiene l’Unione Sovietica, fino al patto russo-tedesco del 1936, ma è disponibile a entrare nei servizi segreti americani. È accusato di essere rivoluzionario e marxista, eppure viene invitato a Milano dall’arcivescovo Montini, futuro Papa Paolo VI, per tenere un seminario sulle tecniche organizzative più idonee ad affrontare i bisogni dei lavoratori. È, ancora, quell’Alinsky che, inviso all’associazione dei social workers di Chicago perché lui e i suoi collaboratori agivano come «operatori sociali» senza essere in possesso dei titoli accademici formali, oggi fa incontestabilmente parte della galleria dei grandi del lavoro sociale americano e mondiale.
BIOGRAFIA
Prime esperienze. Nasce nel 1909 a Chicago da genitori di religione ebraica, emigrati dalla Russia all’inizio del secolo, e vive i primi anni in un ghetto di connazionali. Dal 1926 al 1930, sempre a Chicago, il giovane Alinsky compie gli studi superiori, prima archeologia, poi sociologia. Non trovando un lavoro che gli consentisse di sfruttare il primo titolo, ottiene una borsa di studio per preparare una tesi sperimentale in criminologia. A tal fine, si avvicina alla banda di Al Capone, legandosi in modo particolare al luogotenente Frank Nitti. Sfruttando la vanagloria che spingeva i gangster a raccontare le loro bravate, raccoglie il materiale per la sua tesi.
Impegno sociale. In seguito viene assunto dall’Illinois State Division of Criminology per occuparsi dei giovani delinquenti, quindi passa alla prigione statale per adulti. Per la brutalità dell’ambiente decide di cambiare impiego e inizia a formare il suo pensiero. Il suo impegno sociale è quello tipico dei progressisti della sua epoca: raccoglie fondi per gli operai stagionali del Sud degli Stati Uniti, per le Brigate internazionali in Spagna, collabora con il sindacato. I metodi utilizzati nelle lotte del movimento sindacale verranno riportati nella sua successiva attività di organizzazione di comunità. La prima esperienza è del 1938, nel quartiere Back of the Yards di Chicago. Alinsky si integra nella vita del quartiere e cerca alleanze. Nel giro di un decennio, l’azione dell’organizzazione contribuisce a cambiare faccia al quartiere: si risanano le abitazioni, vengono riequilibrati prezzi e salari, le municipalità assicurano i servizi sanitari e scolastici necessari, spariscono gli usurai.
La maturità. La fama acquisita per la sua opera di animazione sociale e l’istituzione dell’Industrial Areas Foundation lo portano a Los Angeles, a New York — dove collabora con Ivan Illich —, nel Montana e in California, dove organizza il suo progetto forse più conosciuto, quello a favore dei lavoratori agricoli di origine messicana, lavorando con il loro famoso leader César Chávez. Il 1968 rappresenta quindi un momento di svolta nella sua vita. La sua attenzione si sposta dai ghetti delle minoranze etniche verso le frustrate classi medie bianche. Pensa che solo costruendo un’alleanza con loro sarà possibile mettere in discussione la distribuzione del potere nella società.
Concretezza e creatività. Gli ultimi capitoli di Rules for Radicals (il suo secondo e ultimo libro, del 1972) ne sono un’ampia testimonianza. È anche l’anno in cui istituisce l’Industrial Areas Foundation Institute, la sua «università privata»: una scuola per radicali, finanziata dalla chiesa cattolica e da grandi capitalisti, che forma sacerdoti ed esponenti delle minoranze alle tattiche più efficaci per organizzare le popolazioni marginali a tutelare i propri diritti. Saul Alinsky muore il 30 giugno 1972, quando un attacco di cuore lo colpisce improvvisamente, mentre si trova per strada, in una cittadina della California.
IDEE
Autodeterminazione. Nelle sue iniziative Alinsky metteva sempre al centro del tentativo organizzativo l’autodeterminazione della comunità. Era la comunità che doveva farsi avanti e chiedere il supporto organizzativo di Alinsky; era sempre la comunità a dover individuare i propri obiettivi e i propri leader. L’organizzatore vi metteva il know-how tecnico, non imponeva i suoi punti di vista o le sue idee, non era lì «per guidare, ma per aiutare e insegnare». Secondo questo approccio, le comunità che volevano organizzare un progetto di riqualificazione dovevano temporaneamente avvalersi dell’esperienza di Alinsky e dei suoi collaboratori, per poi continuare l’azione da soli. Per questo Alinsky proponeva un contratto con un termine prestabilito: tre anni al massimo, «altrimenti si sarebbe creata una dipendenza».
Nei quartieri. Con questo spirito organizza moltissime comunità e s’impegna, soprattutto negli anni Sessanta, a fianco della gente di colore che combatte la discriminazione razziale nelle scuole, nei quartieri, sul lavoro. Il metodo di Alinsky ruota attorno a cinque elementi fondamentali, che vanno contestualizzati in azioni di confronto o anche di scontro acceso tra minoranze sociali e potere economico-politico, volte al riconoscimento di diritti e di potere decisionale, al cui sbocco, qualunque sia l’esito, vi sarà un maggiore empowerment comunitario.
La strategia. Ecco alcuni punti essenziali del suo pensiero e della sua strategia d’azione. Alinsky punta in primis su una forte leadership e su processi decisionali strutturati. I gruppi devono affrontare pressioni e crisi che richiedono decisioni rapide e obiettive. Per Alinsky, inoltre, le vere organizzazioni democratiche possono svilupparsi solo in unità spaziali limitate — come un quartiere — in cui esistano dei legami naturali di unità e identificazione. La democrazia, sostiene, può essere realizzata solo organizzando le persone a combattere per avere più potere. Le organizzazioni di quartiere sono viste, di fatto, come «i sindacati dei senza potere». È fermamente convinto che le tattiche tradizionali, conservatrici, utilizzate dalla maggior parte dei gruppi di pressione, siano costose e inadatte per organizzazioni di poveri che, prive di risorse finanziarie e di influenza politica, possono raggiungere i loro obiettivi soltanto mediante l’utilizzo di strategie non violente, creative e militanti. Alinsky, infine, è consapevole che tutti i movimenti rivoluzionari nascono da valori spirituali e dalla fede nella giustizia, nell’uguaglianza, nella pace e nella fratellanza. Tuttavia, è ferocemente contrario alle organizzazioni ideologizzate. Le considera antidemocratiche, perché partono non solo da ideali, ma anche da obiettivi e strategie preconcette. «Lasciate che la gente decida — affermava —, non importa cosa decide, l’essenza della democrazia è il poter decidere. Imporre un’ideologia progressista è controproducente e non necessario».
Le qualità dell’organizzatore. In Rules for Radicals, Alinsky dedica un intero capitolo alla formazione dell’organizzatore, elencandone i requisiti e le abilità. Non si fatica a vedervi riflessa l’esperienza personale maturata nelle varie situazioni. Al primo posto viene messa la curiosità: per l’organizzatore la vita è ricerca di un piano d’assieme, ricerca delle somiglianze in mezzo alle discordanze apparenti. Al secondo posto vi è l’irriverenza, che va di pari passo con la curiosità. L’uomo curioso si chiede ben presto: «È vero tutto ciò?». Per chi si pone delle domande, non c’è nulla di sacro: odia il dogma e rifiuta ogni definizione categorica della morale. L’immaginazione è inseparabile dalle prime due doti. Come si può essere curiosi senza essere immaginativi? Per l’organizzatore è l’immaginazione, più che l’indignarsi di fronte all’ingiustizia, l’elemento dinamico che spinge e sostiene l’azione. L’organizzatore che cerca con uno spirito veramente aperto, che non conosce la certezza, che odia il dogma trova nel senso dell’umorismo non soltanto un modo di mantenere lo spirito sano, ma anche una chiave che gli consente di comprendere la vita. Ciò che gli permette di continuare è sempre l’aspirazione verso un mondo migliore. L’organizzatore deve ovviamente avere una personalità ben organizzata, per sentirsi a suo agio in situazioni disorganizzate ed essere razionale in mezzo all’irrazionalità. Abile e calcolatore, deve potersi servire dell’irrazionale per tentare di avanzare razionalmente. L’ego di un organizzatore è un ego molto forte e solido. È certo di riuscire in ciò che ritiene di dover fare. Infine, l’organizzatore è costantemente creativo. Crea del nuovo a partire dal vecchio e sa che le nuove idee non possono nascere che dal conflitto. Senza conflitto cessa la tensione verso il nuovo, il potere si stabilizza.