Azzardo, una patologia sociale da affrontare
L’esperto Mauro Croce: «Quando si inizia è difficile smettere, bisogna fermare la pubblicità»
Negli ultimi anni è cresciuto a dismisura il giocato da parte degli italiani, arrivando a una spesa pari a quasi 100 miliardi di euro nel 2014 rispetto ai 24 miliardi del 2004. Il 22 e 23 maggio, a Trento, un convegno per discutere di Dipendenze e proporre strategie innovative.

Quasi novecentomila italiani. Tanti sarebbero, secondo il ministero della Sanità, i giocatori d’azzardo patologici nel nostro Paese. E un italiano su due (il 54%) afferma di aver giocato almeno una volta nella vita. D’altra parte tra i “vecchi” biglietti della lotteria, le classiche scommesse sportive, gli immediati “Gratta e Vinci” al tabacchino, le slot machine che oramai imperversano nei bar e i nuovi giochi online il panorama delle tentazioni è sconfinato. Facendo leva sulle emozioni delle persone. «Si gioca per sperimentare la speranza di poter cambiare la propria vita, di realizzare un piccolo sogno, di sfidare la sorte. Ma si gioca anche per provare un’emozione diversa, per regalarsi una parentesi di evasione». A parlare è Mauro Croce, psicologo, psicoterapeuta e criminologo, tra i massimi esperti di gioco d’azzardo patologico in Italia, che parteciperà al Convegno Dipendenze – Innovazioni per dirigenti e operatori in programma a Trento il 22 e 23 maggio 2015.
Il problema è che per molte persone la tentazione non finisce in un’innocua parentesi di sogno, speranza o emozione. «La voglia di tornare a giocare, per vincere ancora o rifarsi del denaro perso, diventa sempre più assillante – spiega Croce – assumendo nel tempo i contorni di una vera e propria forma di dipendenza patologica che può portare a conseguenze drammatiche. Con costi per l’individuo, per la sua famiglia, per la comunità. Anche perché i giochi stessi sono pensati per generare processi di dipendenza». Siamo di fronte a un percorso subdolo e insidioso. All’inizio, infatti, la persona pensa di avere il controllo del gioco e di poter smettere quando vuole. «I giocatori si dicono che non stanno assumendo alcuna droga. Che è tutto lecito», precisa Croce. Ma poi viene risucchiato da un vortice. E in quest’ottica un aspetto molto delicato è rappresentato anche dalla pubblicità del gioco d’azzardo. Tra spot in tivù e sul web, pagine sui quotidiani e cartelloni nelle strade gli stimoli sono continui. «Questi messaggi – riflette Croce – giocano sulle nostre passioni e sulle nostre frustrazioni. Non è più il soggetto che va a cercare deliberatamente il gioco, ma è il gioco che va a cercarlo. Da questo punto di vista ritengo che un divieto alla pubblicità sul gioco d’azzardo potrebbe mettere un argine, ponendo un freno all’avvicinamento delle persone al gioco».
D’altra parte, si sente dire spesso che lo Stato guadagni somme importanti dal business dell’azzardo. Ma è vero fino a un certo punto. Negli ultimi anni è cresciuto a dismisura il giocato da parte degli italiani, arrivando a una spesa pari a quasi 100 miliardi di euro nel 2014 rispetto ai 24 miliardi del 2004, ma non c’è un riscontro numerico in termini di entrate all’erario. «Si gioca di più, si spende di più, ma non aumentano le entrate da parte della filiera gioco», sottolinea Croce. Di questo giro d’affari circa 8 miliardi hanno rappresentato il reale indotto per lo Stato. Ma il business è soprattutto delle mafie. Gioco d’azzardo, infatti, fa rima spesso con criminalità. «Non solo – spiega ancora Croce – attraverso la gestione diretta o indiretta di attività legate al gioco, ma anche per la ricattabilità da parte delle organizzazioni criminali di persone indebitate che per rifarsi del denaro perso sono disposte a tutto. Anche ad azioni illegali».
Oltre al gioco d’azzardo patologico, Croce riflette più in generale sulle problematiche legate alle dipendenze non da sostanze. «Con queste nuove forme – dallo shopping, al lavoro, all’uso di tecnologie informatiche – non ci si può appellare alla presenza di una sostanza esterna “diabolica” o a sostanze tossiche. Anzi, hanno a che fare con comportamenti, abitudini, usi del tutto legittimi e spesso socialmente incentivati. Quindi non valgono né le strategie preventive né i trattamenti utilizzati per le altre dipendenze. E questo comporta ragionamenti più ampi sui quali discutere».
Il convegno.
Di questi temi di stretta attualità si discuterà al convegno «Dipendenze – Innovazioni per dirigenti e operatori» organizzato dal Centro Studi Erickson a Trento il 22 e il 23 maggio 2015. Articolato su due sessioni plenarie e nove workshop di approfondimento, con una quarantina di relatori che arriveranno da tutta Italia e dall’estero, l’appuntamento si propone di rivisitare il vasto campo in oggetto riflettendo soprattutto sull’importanza della relazione umana nel processo d’aiuto: unico vero propulsore per favorire dinamiche di cambiamento in un ambiente spesso appesantito dai tecnicismi.
I relatori.
Tra i principali relatori, oltre a Mauro Croce, ci saranno Sabrina Molinaro (Sezione epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari, Ifc-Cnr di Pisa) che analizzerà i dati sulle dipendenze in Italia; lo spagnolo Antoni Gual Solé (Unidad de alcohologìa, ospedale di Barcellona) che presenterà una visione europea sui problemi alcol-correlati; Stefano Vicari (Unità di neuropsichiatria infantile, ospedale Bambin Gesù di Roma) che si soffermerà sul binomio adolescenti-dipendenze; Leopoldo Grosso (Gruppo Abele, Torino) che illustrerà prassi innovative dal mondo delle comunità terapeutiche; Marina Davoli (direttore Dipartimento epidemiologia del SSR – Regione Lazio) che affronterà il legame tra evidence e politiche sulla droga.